La bufala della comunicazione facilitata

In questi decenni, le famiglie con figli autistici hanno vissuto ogni sorta di difficoltà. Prima l’imperante cultura psicodinamica e psicoanalitica a lungo ha colpevolizzato le stesse famiglie, e in particolare le madri, riconducendo l’autismo del figlio ad un inconscio rifiuto dello stesso da parte loro, aggiungendo dramma a dramma (con libri come La fortezza vuota di Bruno Bettelheim che hanno sparso un seme malefico in moltissime menti). In seguito, con ritmo crescente, un susseguirsi di “scoperte” e tecniche nuove hanno riempito i cuori di false speranze, inducendo le famiglie a illudersi e a profondere energie e denari in operazioni prive di qualsiasi riscontro scientifico e di qualsiasi effetto terapeutico reale, e talvolta addirittura fuorvianti o nocive. Per questo, occorre stare costantemente in guardia, poiché i falsi profeti dell’autismo sono sempre all’opera, e passano dalla bufala della comunicazione facilitata a quella del protocollo Dan!, sfuggendo sempre al controllo scientifico rigoroso e sfruttando invece la frustrazione delle famiglie, le falle del sistema sanitario ufficiale, il bisogno di speranza, la disponibilità ad illudersi e anche il facile strumento della teoria del complotto. E proprio I falsi profeti dell’autismo si intitola un bel libro di Paul A. Offit che tutti quelli che hanno a che fare con l’autismo dovrebbero leggere (Autism’s false prophets: bad science, risky medicine, and the search for a cure – Columbia University Press 2008). La storia della comunicazione facilitata, una tecnica che, in forza anche del prestigio dell’informatica, in Italia ha avuto tanto successo, anche dopo che negli USA era stata dimostrata fasulla, ci fornisce un caso esemplare. Occorrerebbe averlo sempre presente, a perenne ammonizione circa la quantità circolante di falsi profeti e di gente disposta a lasciarsi, per ignoranza, turlupinare. Riporto alcuni passaggi dal libro di Offit sull’inganno della comunicazione facilitata e sul suo smascheramento (pp. 6 – 13, passim). Traduzione mia.

 

Molti genitori di bambini con autismo sono stanchi del passo lento della ricerca medica, stanchi di ore e ore di terapia comportamentale, e stanchi di vedere i bambini migliorare ad un ritmo così lento che è difficile dire se stanno migliorando davvero. Vogliono qualcosa subito, qualcosa che li liberi immediatamente dalla prigione dell’autismo. Doglas Bliken, un professore di educazione speciale alla Syracuse University, è stato il primo a fornire questo qualcosa. Bliken era in viaggio a Melbourne in Australia, quando si imbatté in una tecnica rimarchevole. “Sapevo di aver visto qualcosa di incredibile”, disse. “Ecco che c’era un mezzo di espressione per gente che non poteva esprimersi. Era chiaramente qualcosa di rivoluzionario”. La chiamò comunicazione facilitata.

Nel 1990, Douglas Bliken portò la comunicazione facilitata in America. “Il parlare implica muscoli e controllo di muscoli”, affermò. “In effetti, è un’attività motoria molto complessa. Ma la comunicazione facilitata è incredibilmente semplice”. Utilizzando dei facilitatori, che tenevano le mani dei bambini mentre guidavano le loro dita su una tastiera, Biklen credeva che i bambini autistici potessero comunicare. “È facile come insegnare a una persona a mangiare”, disse. Il 23 gennaio 1992, Diane Sawyer descrisse la tecnica di Bliken nel programma di attualità della rete ABC Primetime Live:  Bliken ha iniziato addestrando degli adulti chiamati ‘facilitatori’ ad esercitare il minimo contrappeso possibile sulla mano di un bambino”, disse la Sawyer, “per vedere se gli esperti potessero essere in errore: per dimostrare che dentro questi corpi autistici c’era qualcuno che aveva qualcosa da dire. E quello che venne fuori fu un insieme di voci distinte, intelligenti e disperatamente pronte, come se le porte della prigione fossero state aperte e i prigionieri potessero parlare”. I risultati furono stupefacenti. Con l’aiuto dei facilitatori, bambini con autismo composero messaggi che riempirono di speranza i loro genitori:

“Sono intrappolato in una gabbia e voglio uscirne fuori”.

“Sono intelligente ed colto”.

“L’autismo mi ha tenuto in ostaggio per diciassette anni ma ora non più perché posso parlare”.

“Temo di perdere la mia capacità di comunicare. Temo di essere di nuovo un pagliaccio in un mondo che non è un circo”.

 

Per decenni i genitori avevano desiderato comunicare coi loro figli autistici. Ora, con la comunicazione facilitata, le loro speranze erano realizzate.

 

Incoraggiato dal successo della tecnica, Bliken creò l’Istituto per la Comunicazione Facilitata alla Syracuse University. Una schiera di genitori e professionisti si precipitò da lui. Nel 1993 centinaia di scuole e centri per bambini disabili avevano già adottato la comunicazione facilitata. Sostenuto dai dipartimenti della sanità di cinque stati, l’istituto di Bliken formò migliaia di genitori, insegnanti, logopedisti, addetti all’assistenza—missionari nella crociata contro l’autismo. Diane Sawyer definì la tecnica di Bliken “un miracolo, un risveglio”.

Non tutti si fecero impressionare. Laura Schreibman trovò difficile credere che “perfino quegli individui che i test hanno determinato come severamente ritardati o gravemente autistici possano comunicare con gli altri, esprimere emozioni profonde, scrivere poesia, comporre saggi, sostenere discussioni filosofiche, dichiarare posizioni politiche e invocare migliori trattamenti e maggiori risorse per le persone con disabilità”. E si chiedeva come fosse possibile che bambini gravemente autistici potessero essere “molto più letterati, matematicamente preparati, profondi e politicamente consapevoli di quanto tutti i professionisti avessero sospettato”.

Ma i genitori che avevano visto i miracoli della comunicazione facilitata rifiutarono gli avvertimenti di psicologi come Laura Schreibman. Loro sapevano quello che avevano visto. E sapevano che Douglas Biklen gli aveva offerto qualcosa che i ricercatori convenzionali non gli avevano offerto: la speranza.

Ma non durò a lungo. Nel 1994, alcuni genitori si insospettirono quando videro  i bambini digitare lettere senza guardare la tastiera. Si chiesero come i bambini potessero digitare lunghi paragrafi senza difficoltà o errori. Alla fine posero la questione che avevano fino a quel momento attentamente evitato: Chi sceglie le lettere, il bambino o il facilitatore?

 

 

 

Ma venne il momento in cui la comunicazione facilitata si svelò per quello che era.

Una dei facilitatori di Matthew Gherardi, Susan Rand, mostrò a Cathy (la mamma) un messaggio di Matthew che sosteneva di aver subito abusi sessuali da suo padre, Gerry. La Rand riportò le affermazioni di Matthew alla polizia. Gerry Gherardi,  farmacista presso un ospedale per veterani, non sapeva nulla delle accuse contro di lui. “Andai a casa intorno alle 9.30”, disse. “Parcheggiai l’auto e subito Cathy venne di corsa e iniziò a parlarmi. Immediatamente mi disse di non entrare in casa, che c’era un mandato d’arresto per me, e che mi veniva mossa l’imputazione di aver abusato sessualmente di Matthew”. Gherardi proclamò la sua innocenza. Ma la scuola, i servizi sociali e la polizia credevano che le accuse venissero da Matthew. Gerry Gherardi trascorse i sei mesi successivi a casa di un amico. Ricorda: “Dissi a Cathy:Qui ci dev’essere qualcosa che non va. Probabilmente sta capitando anche altrove. Dobbiamo chiamare la Autism Society a Washington e trovare se hanno qualcosa su comunicazione facilitata e imputazioni di abusi sessuali’. Quando lei li chiamò, loro mandarono subito del materiale, che ci mostrò che cose del genere stavano capitando in tutta la nazione”.

Mediante la comunicazione facilitata, bambini autistici in California, Texas, Georgia, Indiana, Oklahoma, New York avevano affermato di aver subito abusi sessuali. Alcuni genitori, come Gerry Gherardi, erano stati obbligati a lasciare le loro case, mentre altri erano stati arrestati e messi in prigione. Bambini erano stati allontanati dalla loro famiglia. Alla fine una ragazza autistica di diciassette anni di nome Betsy Wheaton mise in moto una serie di eventi che posero fine alla comunicazione facilitata.

 

Secondo il suo facilitatore, Betsy aveva accusato suo padre, la madre, i nonni e il fratello di aver abusato di lei. Ma il procuratore distrettuale prima di poter mettere sotto inchiesta l’intera famiglia Wheaton  doveva determinare chi stesse facendo la comunicazione. Così egli chiese a Howard Shane, un esperto in comunicazione del Boston Children’s Hospital, di creare un’apparecchiatura semplice, e a Douglas Wheeler, psicologo all’ O.D. Heck Center, di testarla. “Avevamo semplicemente un tavolo con una separazione nel mezzo”, racconta Wheeler, che credeva nella comunicazione facilitata. “Il facilitatore poteva vedere solo dalla sua parte e lo studente solo dalla sua. L’uno non poteva vedere dalla parte dell’altro”.

Uno dei primi ad essere testati fu Betsy Wheaton. Quando a Betsy e al suo facilitatore venne mostrata contemporaneamente l’immagine di una chiave, Betsy digitò la parola chiave. Ma quando a Betsy fu mostrata l’immagine di una tazza e al suo facilitatore quella di un cappello, Betsy digitò la parola cappello. Chiaramente, il facilitatore in modo inconscio faceva la digitazione. Wheeler testò altri soggetti, ma i risultati furono i medesimi. “Il risultato fu davvero drammatico”, dice Wheeler. “Gli studenti fornirono zero risposte corrette”. Ray Paglieri, direttore del programma autismo all’O.D. Heck Center, dice: “Letteralmente non abbiamo avuto una sola risposta corretta. Intendo dire che era incredibile, dato il nostro precedente sistema di credenze sull’intera faccenda”. Nel giro di pochi anni, dodici studi realizzati in tre paesi evidenziarono risultati analoghi. “Era devastante da vedere”, dice Phil Warden, tutore di Betsy. “Perché quello che vedevi era che le parole che venivano digitate venivano da quello che vedeva il facilitatore. Era proprio chiaro e inequivocabile. Io ero seduto là guardando questo e dicendo: “Mio Dio, è proprio vero. Questa roba è fasulla”.

Doug Wheeler sapeva che il bubbone era scoppiato. Sapeva anche quanto duro sarebbe stato per migliaia di facilitatori in tutta la nazione accettare quel che lui aveva scoperto. “Ci furono 180 processi in cui si sarebbe potuta dimostrare la validità della comunicazione, ma in nessuno si riuscì”, dice Wheeler. “Avevamo un’evidenza schiacciante del controllo da parte del facilitatore. Cominciammo a pensare che l’impatto sui facilitatori sarebbe stato traumatico. La comunicazione facilitata era divenuta parte del loro sistema di credenze, una parte essenziale della loro personalità. C’era gente che diceva la comunicazione facilitata è tutta la mia vita’. Erano persone che ci credevano veramente. Avevano speso tempo e denaro per formarsi. Sapevamo che il loro controllo era inconscio. Sapevamo che non avevano alcuna idea di esercitarlo.”

 

Marian Pitsas, logopedista e facilitatore all’O.D. Heck Center, partecipò ai primi studi che hanno dimostrato che la comunicazione facilitata era un’illusione di massa su scala nazionale. “È stato devastante vedere i dati là, nero su bianco”, dice Pitsas. “Sbalorditivo. Era inconfutabile. Vedere la faccia di Doug Wheeler, uno con cui avevo lavorato. Della cui opinione mi fido. È stato devastante. Avrei voluto che la terra si aprisse”. La Pitsas ritornò dai bambini a cui aveva dato voce, realizzando ora che la comunicazione che aveva pensato che ci fosse tra lei e il suo paziente in realtà era stata tra lei e lei stessa. “Quello che mi angustiava ancor più di questo era il pensiero dei genitori”, dice la Pitsas. “Noi gli avevamo dato false speranze e adesso dovevamo dirgli che non erano reali. Ritornai da tutti gli individui nel nostro programma con cui avevo usato la comunicazione facilitata e tentai di facilitarli con la stessa strumentazione che avevano usato in precedenza, che fosse una tastiera o una lavagna o altro, senza che io guardassi la tastiera. Tutto quello che ottenni furono sequenze di lettere. E non tentai una volta sola, ci provai per diversi giorni”.

 

Douglas Biklen, il fondatore della comunicazione facilitata, si rifiutò di credere ai risultati degli studi. “La gente dice che devono essere gli insegnanti a guidare in modo non intenzionale”, affermò Biklen. “In realtà non è possibile. Gli studenti ci forniscono informazioni che noi non possediamo. Ci dicono quello che è capitato nel fine settimana e chi sono i loro parenti. Così noi abbiamo tutti questi casi in cui i bambini ci dicono cose che noi non abbiamo alcun modo di conoscere”. La comunicazione facilitata è una questione di fiducia, sostenne. Quando la fiducia viene spezzata dal rigore degli studi, la cosa non funziona più. “Io credo che i test presentino diversi problemi”, disse Bliken. “Si mettono  le persone in quella che si potrebbe dire una situazione di confronto. Vale a dire che si chiede loro di mettere alla prova se stesse. Nel mio metodo la fiducia risulta essere un elemento critico. Se le persone sono in ansia, esse potrebbero, in effetti, bloccare la loro capacità di rispondere. Potrebbero perdere fiducia. Potrebbero sentirsi inadeguate”. Bliken affermò che il suo metodo funzionava solo quando non veniva testato. Morley Safer, intervistando Bliken nel programma di attualità della CBS 60 Minutes, contestò la pretesa che la comunicazione facilitata non sia testabile: “Equivale a dire: ‘Tutti i maiali possono volare, ma possono volare solo quando noi non li guardiamo’”.

 

Howard Shane, lo specialista in comunicazione che ha organizzato lo studio, fu colpito dalla falsa promessa della comunicazione facilitata—che in nome del dare ai bambini autistici una voce, gliel’aveva rubata. “Penso che sia stata una ferita e un danno”, afferma Shane. “Ha privato i bambini del loro diritto di comunicare in modo indipendente”. Gerry Gherardi fu duramente colpito dalla sua esperienza: “Io penso che un mucchio di genitori si stia arrampicando sugli specchi, e pensi che la comunicazione facilitata sia una risposta per loro, e penso che li abbia accecati. E soffro per loro, perché posso certamente capire da che esperienze vengano fuori. Douglas Wheeler era anche cauto: “Se soltanto avessi pensato alla letteratura sull’autismo e agli studi con cui avevo familiarità, avrei riconosciuto che il fenomeno della comunicazione facilitata era illogico, che probabilmente non poteva esistere. Ma ero così preso dalla sua emozionalità”.

 

Sebbene si sia rivelata una bufala, alcuni genitori credono ancora al miracolo della comunicazione facilitata. “ Qui capita qualcosa che è meraviglioso per tutti noi”, dice una mamma. “E se è un sogno o un’illusione, continuerò a usare questo narcotico”.

 

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